Ascolti avvocato, l’inquilino del mio immobile, moroso da diversi mesi, se ne è andato senza dire nulla e non riuscivo più a contattarlo, nemmeno telefonicamente. Il contratto prevede la risoluzione automatica in caso di mancato pagamento anche di una sola rata ed io, quando gli avevo consegnato le chiavi dell’appartamento me ne ero tenuta una copia per ogni evenienza. Visto che il contratto prevedeva la risoluzione immediata in caso di morosità, sa cosa ho fatto? Sono entrato nell’immobile con le chiavi di riserva ed ho fatto cambiare la serratura, così ho risparmiato i costi dello sfratto (mi scusi se glielo dico eh!) e sono rientrato immediatamente in possesso del mio immobile. Che ne dice, non sono stato furbo!?
Comprendo benissimo il disappunto che
può provare il proprietario di un immobile concesso in locazione nel subire il
comportamento del conduttore il quale, oltre a rendersi moroso nel pagamento
delle mensilità di canone e delle spese, ometta altresì di restituire il
possesso del locale, magari senza nemmeno più utilizzarlo.
Tuttavia, non posso fare a meno di evidenziare che le
suddette circostanze non consentono al locatore di riprendersi autonomamente la
detenzione del fabbricato. Anche se nel contratto è prevista la risoluzione
di diritto in caso di mancato pagamento del canone, occorre comunque che la
risoluzione contrattuale sia dichiarata dal Tribunale. Sarà pertanto necessario
chiedere al Giudice la convalida dello sfratto per morosità e successivamente,
ottenuta l’ordinanza di convalida, riprendere l’immobile con la presenza
dell’ufficiale giudiziario, mediante l’apposita procedura per l’esecuzione dell’obbligo
di rilascio sancito dal Giudice.
Riprendersi il possesso dell’immobile direttamente,
ovvero senza seguire questa procedura o senza un accordo con il conduttore,
significa commettere un reato. Sul tema, la Cassazione ha infatti precisato più volte che la
sostituzione della serratura (con ingresso all’interno dei locali) configura il
reato di “violazione di domicilio”,
previsto dall’art. 614 cod. pen. che dice testualmente: “Chiunque
s'introduce nell'abitazione altrui,
o in un altro luogo di privata dimora, o
nelle appartenenze di
essi, contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo,
ovvero vi s'introduce clandestinamente o con l'inganno, è punito con la
reclusione da sei mesi a tre anni. Alla stessa pena soggiace chi si trattiene
nei detti luoghi contro l'espressa volontà di chi ha il diritto di escluderlo,
ovvero vi si trattiene clandestinamente o con inganno.
Il delitto è punibile a querela della persona offesa.
La pena è da uno a cinque
anni e si procede d'ufficio, se il fatto è commesso con violenza sulle cose o
alle persone, ovvero se il colpevole è palesemente armato.”
Alla luce di quanto sopra, sconsiglio - a coloro che
si trovino in situazione analoga - di tenere il comportamento riferito nel
quesito e consiglio, invece, di consultare, prima di assumere ogni decisione, un legale di fiducia
con il quale concertare le opportune strategie; se siete preoccupati per la spesa da affrontare per l'azione giudiziale, chiedete piuttosto un preventivo dei costi ipotizzabili e magari concordate con il legale modalità e termini per i pagamenti, sulla base delle successive fasi
procedurali che si dovranno affrontare.